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Buongiorno

08.02.2017 - Buongiorno Irpinia

Avellino e gli immigrati: i veri razzisti sono in Comune

Buongiorno Irpinia. Prima le lenzuola bianche ai balconi di via Francesco Tedesco ad Avellino, interpretate per ciò che volevano significare e che di fatto hanno significato: la protesta contro la sistemazione di un centinaio di immigrati nel convento delle suore Stimmatine. Poi, di segno opposto, le tovaglie sporche di sugo postate su Facebook dal gruppo campano della “Chiesa Pastafariana Italiana”. Per dire che assieme agli immigrati mangiamo e viviamo, una risposta forte e polemica agli avellinesi ritenuti “intolleranti”.

Da giorni l’argomento infiamma e divide l’opinione pubblica irpina. E se nel mirino dei “tolleranti a prescindere” ci finisce anche un parroco come Don Emilio Carbone, che ha una storia limpida e consolidata di concreta solidarietà, allora vuol dire che siamo messi proprio male – in questa città e in questa provincia – e che è urgente riflettere su problemi così seri prima che sia troppo tardi.

Sull’episodio di via Francesco Tedesco ci sono diverse verità da mettere a fuoco.
La prima è che la città di Avellino è in gravissimo ritardo sulla presa di coscienza del fenomeno immigrazione e su tutti i problemi sociali e logistici che esso comporta. Da qualche anno ormai, sempre più frequentemente, i titoli dei Tg nazionali riportano in primo piano le cronache di immigrati da Paesi in guerra ma anche – a vario titolo, nessuno in verità palesemente legittimo – da Paesi in cui la pace non manca affatto. Sono cronache di povera gente che fugge dalle guerre civili e dalle dittature, e che troppo spesso muore annegata in mare. E sono cronache di enormi difficoltà logistiche per la sistemazione dei povericristi e non propriamente tali che ci ritroviamo sul nostro territorio. Sono cronache, infine, di inserimenti sociali non sempre agevoli, di paure non sempre motivate ma nemmeno sempre infondate, di straordinari esempi di accoglienza e di discriminazioni razziste assolutamente intollerabili. Eppure la città di Avellino è sempre rimasta distrattamente a guardare, come se quelle immagini delle cronache televisive fossero roba d’un altro mondo lontanissimo da noi, e che mai e poi mai avrebbero potuto trovare il “dove” anche nella nostra comunità. La stessa Amministrazione comunale è rimasta distrattamente a guardare. Ha scritto bene, al riguardo, Generoso Picone sul Mattino. Il sindaco e i suoi assessori, al pari dei consiglieri comunali di maggioranza, hanno sempre immaginato che Avellino non dovesse mai ospitare immigrati. Nemmeno quando l’accoglienza – e non è dall’altro ieri – ha massicciamente interessato piccoli comuni della provincia irpina, il governo cittadino ha compreso che il capoluogo non avrebbe non potuto dare il suo equo contributo di solidarietà. Gli amministratori hanno trasferito alla comunità l’idea del capoluogo “isola felice” e “incontaminabile”. E chissà perché altro l’hanno fatto, se non per negligenza, insensibilità politica, irresponsabilità.

Meravigliarsi delle lenzuola bianche ai balconi è come confondere la febbre con la malattia. Dire che gli abitanti di via Francesco Tedesco sono razzisti è dire una stupidaggine incommensurabile. E’ ragionevole sostenere, invece, che quei cittadini hanno una qualche fondata paura, generata dalla “non conoscenza”, non già da un Dna che a tutti i costi si vorrebbe razzista. E qui le colpe dell’Amministrazione comunale si amplificano a dismisura. Perché – e siamo alla seconda verità – avere educato la cittadinanza all’idea dell’isola felice, incontaminabile (tra mille virgolette), ermeticamente chiusa ad ogni possibilità di ricevere immigrati (“Non abbiamo spazi disponibili”, disse qualche imbecille del Palazzo, come se Sant’Angelo a Scala, tra i più piccoli comuni d’Irpinia, che pure ha dato accoglienza, avesse più spazi della città), aver fatto ciò ed altra becera propaganda protezionista è da irresponsabili, da nullità politica e amministrativa, oltre che sociale.

C’è, infine, una terza verità alla quale i “tolleranti a prescindere” dovrebbero più umilmente avvicinarsi. Quanti e quali controlli vengono effettivamente fatti sui processi di integrazione degli immigrati e sulla stessa “volontà” o “capacità” degli immigrati di integrarsi? Se siamo preoccupati, ad esempio, degli effetti devastanti che le sale da gioco hanno sui nostri figli, che pure sono soggetti al controllo familiare (ahimè, troppo blando!), come non interrogarsi sull’esposizione dei giovani immigrati al rischio di certi ambienti senza alcun filtro sociale? Possiamo dare per scontato che non maturino proprio in certi ambienti le più varie tentazioni per procurarsi danaro?

E’ solo un esempio delle paure collettive – queste, sì, fondate – che non possono essere esorcizzate né con gli atti di fede né con i pur sacrosanti principi della solidarietà, né tanto meno con le lenzuola bianche (del tutto inopportune) o con le tovaglie sporche di sugo. E non è questione di razzismo o anti. Tutt’altro. E’ semplicemente una questione di buon senso.